1. Con la sentenza n. 165, la Corte nell’esaminare la questione di costituzionalità sollevata con ricorso in via incidentale dalla Corte dei conti sezione regionale di controllo per la Campania ha ordinato la restituzione degli atti alla rimettente per jus superveniens.
2. La Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, che ha rimesso la questione in sede di giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Campania per l’esercizio finanziario 2023, dubitava della conformità a Costituzione dell’art. 23, commi 12-ter e 12-quater, della legge reg. Campania n. 1 del 2012, aggiunti dall’art. 3, comma 1, della legge reg. Campania n. 2 del 2021, in riferimento agli artt. 81, 97, primo comma, 117, secondo comma, lettera l), 119, primo comma, e 136 Cost., questioni di legittimità costituzionale.
Nell’istituire un nuovo trattamento economico accessorio riservato a una particolare categoria di dipendenti regionali, le disposizioni regionali censurate venivano ritenute in contrasto, anzitutto, con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. Il legislatore regionale, sostituendosi alla contrattazione collettiva e regolando direttamente alcuni aspetti della retribuzione, così invadendo la sfera di competenza legislativa statale esclusiva nella materia «ordinamento civile».
Veniva, altresì, denunciata la violazione degli artt. 81, 97 e 119, primo comma, Cost., perché le disposizioni censurate avrebbero determinato un aumento della spesa per il personale regionale, così incidendo negativamente sugli equilibri di bilancio, «in violazione dei “beni-valori” della contabilità pubblica».
Infine, ad avviso del giudice a quo, le disposizioni censurate sarebbero in contrasto con l’art. 136 Cost., per l’«elusione dei principi affermati […] con la sentenza n. 146/2019», che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la previsione, da parte della stessa Regione Campania, di un trattamento economico accessorio per il personale regionale ritenuto «similare» a quello oggetto di censura.
3. Successivamente all’ordinanza di rimessione, è però intervenuto l’art. 8, comma 3, del d.l. n. 25 del 2025, la cui ampiezza - secondo la Corte - è tale da ricomprendere anche i provvedimenti attuativi delle disposizioni censurate (in particolare, le delibere dell’Ufficio di presidenza della Regione Campania n. 22 e n. 23 del 29 aprile 2021, che hanno determinato l’ammontare dell’emolumento istituito dal censurato art. 23, comma 12-ter, della legge reg. Campania n. 1 del 2012.). Difatti, la legge statale, nel modificare l’art. 3, comma 1, del d.l. n. 44 del 2023, come convertito, vi ha aggiunto la previsione secondo la quale «[s]ono fatti salvi gli atti e i provvedimenti adottati dalle regioni in adeguamento alle disposizioni del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base degli stessi».
Si tratta, quindi, secondo la Corte, di una legge di sanatoria, non preclusa al legislatore, che ha introdotto la previsione secondo la quale «[s]ono fatti salvi gli atti e i provvedimenti adottati dalle regioni in adeguamento alle disposizioni del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché gli effetti prodotti e i rapporti giuridici sorti sulla base degli stessi».
Sicché, ad avviso della stessa Corte costituzionale la sopravvenienza normativa statale potrebbe essere idonea a giustificare ex tunc gli esborsi sostenuti dalla Regione Campania, come riportati nel rendiconto generale per l’esercizio finanziario 2023, oggetto del giudizio di parificazione dinnanzi alla Corte dei conti.
4. È per questa ragione che, in relazione al ritenuto sostanziale mutamento del quadro normativo di riferimento, la Corte ha ordinato la restituzione degli atti alla Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Campania, affinché rivaluti l’eventuale permanenza dei presupposti per ritenere sussistenti i dubbi legittimità rappresentati anche ai fini della parifica delle imputazioni contabili effettuate dalla Regione Campania del rendiconto generale regionale per il 2023.
5. Gli intrecci tra l’esercizio della competenza legislativa regionale ma anche di quella statale (come nella specie) e le valutazioni cui la Corte dei conti è deputata a svolgere in sede di giudizio di parificazione, nel continuo divenire dei riflessi finanziari che ne discendono, evidenziano la tanto inevitabile quanto disfunzionale ricaduta sul fisiologico svolgersi del ciclo del bilancio delle Regioni che, nel caso di specie, risulta interrotto al rendiconto 2023, con le conseguenti incertezze sul piano ordinamentale.
6. Nel merito, vanno rappresentate due considerazioni: a) l’ordinanza di rimessione, nel ritenere la violazione dell’art. 81 - come rilevato nella nota di commento all’ordinanza medesima iscritta al n. 51 del registro ordinanze 2025 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, 2025, pubblicata nel presente Osservatorio costituzionale di finanza pubblica -, non ha approfondito il possibile vulnus al principio costituzionale della copertura finanziaria dell’onere, argomentazione che se compiutamente svolta non avrebbe potuto determinare la restituzione atti in quanto non è consentita una copertura ex post; b) occorre stabilire se, in ogni caso, la norma statale ritenuta “sanante” da parte della Corte costituzionale sia realmente tale, in quanto, anche in questo caso, quantomeno con riferimento al rendiconto 2023, la norma statale del 2025 non può per definizione retroagire, in quanto quel rendiconto dovrebbe ritenersi oramai concluso. Eventualmente, l’effetto sanante potrebbe prodursi solo sulle “conseguenze” della non parificabilità delle poste oggetto di esame dei conti consuntivi regionali successivi al d.l. n. 25 del 2025. Questione, questa, molto complessa, che avrebbe meritato trattazione nella pronuncia della Corte costituzionale.
27/10/2025
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