Log in or Create account

FOCUS - Territorio e istituzioni N. 29 - 27/10/2025

 Corte Costituzionale, Sentenza n. 167/2025, Rivalutazione pensionistica in tensione e manovra di finanza pubblica

Rivalutazione pensionistica in tensione e manovra di finanza pubblica

1. Con la sentenza n. 167 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 309, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.

La norma oggetto di scrutinio prevede, per l’anno 2023, un meccanismo di “raffreddamento” della dinamica rivalutativa dei trattamenti pensionistici, riconoscendo integralmente la perequazione automatica solo per le pensioni complessivamente pari o inferiori a quattro volte il minimo INPS; per quelle superiori, invece, la rivalutazione viene accordata in misura progressivamente decrescente – in percentuali comprese tra l’85 e il 32 per cento – in relazione inversa rispetto all’importo del trattamento.

La Corte, dopo avere escluso che nella specie si versi in un’ipotesi di prelievo fiscale, richiama il proprio precedente (sent. n. 19/2025) con la quale ha già chiarito, in risposta ad una censura analoga, che il meccanismo previsto dalla norma «non comporta “l’effetto di paralizzare, o sospendere a tempo indeterminato, la rivalutazione dei trattamenti pensionistici, neanche di quelli di importo più elevato, risolvendosi viceversa in un mero raffreddamento della dinamica perequativa, attuato con indici graduali e proporzionati”, come già rilevato dalla sentenza n. 234 del 2020, in relazione a previsioni legislative di analogo tenore».

D’altro canto, secondo la Corte, le considerazioni espresse dalla richiamata sentenza n. 19 del 2025 non autorizzano affatto a ritenere che le misure limitative della dinamica perequativa debbano considerarsi di natura “eccezionale”, con il corollario della “irripetibilità” che si vorrebbe far discendere da questo presupposto. Anzi, solo la totale paralisi – ove ripetuta nel tempo – o addirittura la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo potrebbero creare frizioni con gli artt. 3 e 38 Cost., nel senso di esporre «il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità» (Corte cost., sent. n. 316/2010).

La sentenza (punto 11 del diritto) conclude con tre moniti al legislatore “affinché in futuro: (a) si tenga conto degli effetti prodotti dalla disposizione in esame, nel regolare «la portata di eventuali successive misure incidenti sull’indicizzazione dei trattamenti pensionistici» e (b) il regime ordinario oggi dettato dall’art. 1, comma 478, della legge n. 160 del 2019 venga interessato «con estrema prudenza da cambiamenti improvvisi, incidenti in senso negativo sui comportamenti di spesa delle famiglie» (sentenza n. 19 del 2025), nonché (c) si adotti un approccio diversamente calibrato rispetto ai pensionati soggetti al sistema contributivo, quest’ultimo caratterizzato dalla «tendenziale corrispettività tra provvista finanziaria (il cosiddetto montante) e misura del trattamento previdenziale liquidato» (sentenza n. 94 del 2025)”.

2. Nella sostanza, la sentenza ribadisce che le disposizioni di meccanismo per il “raffreddamento” della dinamica rivalutativa dei trattamenti pensionistici rientrano nella piena discrezionalità del Parlamento nella materia della finanza pubblica, come lucidamente già rappresentato dalla stessa Corte nella sentenza n. 316 del 2010, in quanto “la garanzia costituzionale della adeguatezza e della proporzionalità del trattamento pensionistico, cui lo strumento della perequazione automatica è certamente finalizzato, incontra il limite delle risorse disponibili. A tale limite il Governo e il Parlamento devono uniformare la legislazione di spesa, con particolare rigore a presidio degli equilibri del sistema previdenziale” (Corte cost., sent. n. 316/2010, punto 4 del diritto).

Equilibri, che nell’attualità - alla luce del mutato quadro di riferimento costituzionale (dopo la riforma costituzionale del 2012) ed euro unitario (dopo la riforma del 2024 della governance europea), cui la Corte ha in altre sentenze fatto esplicito riferimento (Corte cost., n. 195/2024 e n. 45 e 152/2025) - risultano oggi ancor più “cogenti” rispetto al 2010, riguardando, essi, l’osservanza del fondamentale parametro costituzionale di cui all’art. 97, primo comma, Cost., e, nello specifico, dei pressanti impegni assunti con l’approvazione del Piano strutturale di bilancio di medio termine (PSBMT) nell’autunno 2024 circa il rispetto della traiettoria settennale del rientro dal debito e dal deficit strutturale, cui è funzionale l’accentramento del controllo nella sola “regola della spesa” ad essa sottesa.

2.1. Nel mutato scenario costituzionale ed euro unitario, le leve del governo della spesa pubblica ricomprendono dunque, secondo la plausibile ratio decidendi della Corte, anche quelle della riduzione della spesa pensionistica sulla base di valutazioni discrezionali del legislatore, ancorché di carattere non permanente, nei limiti dell’osservanza del parametro di cui all’art. 38 Cost. posto a salvaguardia dell’“adeguatezza” di detti trattamenti (ovviamente, non in riferimento alle “esigenze di vita” di cui al testo letterale della Carta), in ciò palesando l’esigenza di assicurare il rispetto delle esigenze di vita anche in relazione alle risorse finanziarie disponibili (si tratta dei c.d. diritti finanziariamente condizionati)[1].

2.2. Tuttavia, una volta enunciata la ragionevolezza della sentenza, almeno avuto riguardo al dispositivo, risultano indebolite tecnica redazionale dei moniti (sopra ricordati) ai quali la Corte oramai sovente ricorre e più in generale la stessa ratio decidendi in simili casi.

Infatti, nella logica di una manovra di finanza pubblica finalizzata ad assicurare l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico (art. 97, primo comma, Cost.), è da supporre che il blocco della rivalutazione pensionistica sarà tanto più efficace quanto più elevato sarà il tasso inflazionistico da recuperare, dal punto di vista della difesa degli equilibri di bilancio da preservare; sicché, il caveat secondo cui la misura di blocco sarebbe coerente con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità purché le pensioni, anche di maggiore consistenza, siano comunque sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta, non sembra pienamente in sintonia con l’esigenza della misura, tanto più ove essa venga reiterata nel tempo, evenienza che la stessa Corte esplicitamente configura come “non eccezionale” o “non irripetibile”.

Oltretutto, sul piano metodologico, sarebbero da evitare affermazioni generiche, perché nella posizione da ultimo richiamata della Corte si pone anche il problema del limite in base al quale si possa ritenere o meno difeso il potere d’acquisto della moneta (secondo la terminologia di stampo ottocentesco utilizzata nella sentenza), il che implica anche il problema della decisione sulla competenza in ordine alla fissazione di tale limite (competenza che non può che essere discrezionale, ictu oculi) e dunque in ordine alla sua sindacabilità in sede giurisdizionale in base agli evocati princìpi di ragionevolezza e proporzionalità. L’ordine delle questioni sollevato dalla sentenza è particolarmente ampio e delicato al contempo, come è agevole verificare, a fronte dell’approccio in qualche modo semplicistico manifestato dalla pronuncia.

In questa cornice anche la stessa temporaneità, in definitiva, evocata dalla sentenza[2], a conferma di una giurisprudenza consolidata in tal senso, quale condizione per ritenere ragionevoli e proporzionali sacrifici (in termini di riduzioni delle prestazioni[3]), andrebbe ormai fatta oggetto di una riconsiderazione, non solo perché il predetto PSBMT ha valenza settennale, ma anche in quanto è ragionevole ipotizzare che gli obblighi di mantenimento di una finanza pubblica tendenzialmente caratterizzata da parametri fisiologici in termini di debito non rappresentino un vincolo che sarà superato al di là del settennio considerato, salvo eventi eccezionali.

Tra l’altro, a testimonianza della particolare complessità delle questioni sottese alla fattispecie, non sufficientemente còlta né in sede di ricorso né in sede di pronuncia, a fronte del nuovo assetto costituzionale susseguente alla novella del 2012 vi sarebbe da chiedersi se in tale quadro non debba essere per certi versi rivisitata, integrandola, la stessa dottrina e giurisprudenza dei cd. “controlimiti”[4], quando - in ipotesi - i princìpi supremi dell’ordinamento costituzionale interno (ad es., la garanzia dei diritti fondamentali) possano entrate in frizione con gli obblighi eurounitari quali si racchiudono nel citato art. 97, primo comma, Cost.

2.3. Né risulta persuasiva l’auspicata differenziazione della rivalutazione del capitale accumulato tra pensionati con il sistema retributivo, contributivo o misto; infatti, l’indicizzazione delle pensioni al costo della vita non sembra condizionata dalle modalità di determinazione del montante pensionistico (non venendo in gioco la riduzione quantitativa dei trattamenti in godimento), mirando, piuttosto, alla difesa del potere di acquisito delle pensioni, esigenza che è da ritenere comune ai trattamenti pensionistici comunque legittimamente ottenuti dal lavoratore.

3. In definitiva, con la sentenza in questione si verifica un altro esempio di come la Corte, nelle questioni (almeno indirettamente) di finanza pubblica, intuisca, sì, quali siano le conclusioni giuste in base all’impianto costituzionale in essere, ma non giunga ad esse con un percorso motivazionale attrezzato, il che perdura – quasi ininterrottamente - dall’entrata in vigore della novella del 2012. Conviene rammentare che quest’ultima mise in primo piano le questioni di finanza pubblica quale parametro di legittimità della legislazione primaria (statale e regionale) finanziariamente rilevante, in un contesto di coerenza con l’ordinamento giuridico eurounitario.

Ciò si riverbera non solo sulla qualità e sulla sostenibilità giuridica della giurisprudenza della Corte in materia, ma è destinato a creare una sorta di corto circuito, nel senso che, senza l’indicazione, nelle varie sentenze, dell’approccio corretto nelle questioni riguardanti la materia finanziaria, la magistratura è portata a sollevare innanzi alla Corte questioni di legittimità costituzionale prospettando un thema decidendum (o più d’uno) che non riesce a tenere necessariamente conto di una univoca e pur necessaria bussola interpretativa. Il risultato è il più delle volte una giurisprudenza costituzionale che si connota per il fatto di adagiarsi sull’incerto iter logico seguito dai ricorsi, dietro cui vi possono essere motivazioni tra le più disparate, in quanto sono gli interessi ad essere del tutto variegati.

Questo è appunto il caso qui in esame, riferito ad un’impugnativa non approfondita sul piano motivazionale e che ha indotto (colpevolmente) la Corte – la quale peraltro non sviluppa né accenna ad alcun obiter nella sentenza – a non far presente, nelle motivazioni, che in queste materie il percorso costituzionalmente corretto è quello che dà priorità alla pietra miliare costituita dal richiamato art. 97, primo comma, quale incipit e decipit di ogni argomentazione (con le implicazioni prima accennate).

Come già rilevato più volte, le stesse (spesso evocate) questioni attinenti ai profili relativi all’armonizzazione dei bilanci ed al coordinamento della finanza pubblica, di cui all’art. 117 Cost., è da ritenere che svolgano funzioni serventi rispetto allo strumento giuridico che immette nell’ordinamento domestico la pur mutevole normativa europea sugli equilibri interni di finanza pubblica di ciascun Paese, ossia rispetto al già richiamato art. 97, primo comma, Cost. Ed è in questo contesto che va inquadrato anche lo stesso art. 81 Cost., in quanto riferito all’equilibrio di cui al bilancio dello Stato stricto sensu, parte essenziale della pubblica amministrazioneVa da sé, in tale prospettiva, che anche le questioni relative agli art. 3, 23 e 53 (o altro) Cost., come si evince nella fattispecie dal ricorso in questione sollevato dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti, egualmente non possono non essere inquadrate se non all’interno del descritto approccio, che vede la richiamata disposizione di cui all’art. 97, primo comma, Cost., come la norma di chiusura di tutto il sistema finanziario pubblico dell’ordinamento interno.



[1] La Corte costituzionale (ex multis, sent. n. 248/2011) ha qualificato, ad esempio, il “diritto alle prestazioni sanitarie come “finanziariamente condizionato”, giacché «l’esigenza di assicurare la universalità e la completezza del sistema assistenziale nel nostro Paese si è scontrata, e si scontra ancora attualmente, con la limitatezza delle disponibilità finanziarie che annualmente è possibile destinare, nel quadro di una programmazione generale degli interventi di carattere assistenziale e sociale, al settore sanitario» (ex multis, sentenza n. 111 del 2005)”. V. Quaderno di giurisprudenza costituzionale, La tutela dei diritti e i vincoli finanziari, a cura di M. Fierro, R. Nevola, D. Diaco, STU247, maggio 2013, Studi e ricerche, Diritti fondamentali, www.cortecostituzionale.it; Sulla controversa categoria dei diritti fondamentali, v. per tutti L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, in Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, a cura di E. Vitale, Bari, 2001; C. Pinelli, Diritti costituzionalmente condizionati, argomento delle risorse disponibili, principio di equilibrio finanziario, in La motivazione delle decisioni della Corte Costituzionale, a cura di A. Ruggeri, Torino, 1994, 548; A. Morrone, Crisi economica e diritti. Appunti per lo stato costituzionale in Europa, in Rivista AIC, 3/2014, secondo cui «l’equilibrio di bilancio (in qualunque accezione) è il presupposto per l’attuazione del welfare state e, come si dirà, per la sopravvivenza dello stesso stato costituzionale». V., anche, A. Morrone, Crisi economica e diritti. Appunti per lo Stato costituzionale in Europa, in Quad. cost., 2014, 1, 79; C. Salazar, Crisi economica e diritti fondamentali − Relazione al XXVIII Convegno Annuale dell'AIC, in rivistaaic.it, 4/2013; F. Gabriele, Diritti sociali, unità nazionale e risorse indisponibili: sulla permanente violazione−inattuazione della prima parte della Costituzione, in rivistaaic.it, 3/2013; L. Carlassare, Priorità costituzionali e controllo sulla destinazione delle risorse, in costituzionalismo.it; L. Trucco, Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti sociali, in gruppodipisa.it; C. Pinelli, Sui livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, in Dir. pubbl., 2002, 881; G.L. Tosato, La riforma costituzionale sull'equilibrio di bilancio alla luce della normativa dell'Unione: l'interazione fra i livelli europeo e interno, in Riv. dir. internaz., 2014, 1, 5; A. Morelli, Il carattere inclusivo dei diritti sociali e i paradossi della solidarietà orizzontale, in gruppodipisa.it.

[2] In effetti, se, per un verso, la sentenza non esclude il carattere della “ripetibilità” della misura, per altro verso, osserva che “[c]ome si è visto, anzi, solo la totale paralisi – ove ripetuta nel tempo – o addirittura la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo potrebbero creare frizioni con gli artt. 3 e 38 Cost.” (punto 10.2. del diritto), con ciò riproponendo la sostanziale rilevanza dell’elemento temporale della misura come, d’altro canto, confermato al punto 11 del diritto della stessa pronuncia, ove la Corte ammonisce il legislatore che, nel reiterare la misura, occorra - comunque - valutare «la portata di eventuali successive misure incidenti sull’indicizzazione dei trattamenti pensionistici».

[3] Sul punto, v. anche Corte cost., sent. n. 316/2010, punto 4 del diritto, richiamata dalla pronuncia in commento.

[4] Intendendosi per tali le imprescindibili garanzie necessarie a bilanciare, salvaguardandole, le esigenze interne (es. assicurare la tutela dei diritti fondamentali della persona) e le disposizioni dei Trattati UE (il primato del diritto euro unitario), in diretto e puntuale adempimento dell'art. 11 Cost.; Corte cost., sentt. n. 24/2017; n. 170/1984; n. 183/1973.



Execution time: 28 ms - Your address is 216.73.216.88
Software Tour Operator