
La tendenza alla rimodulazione della sovranità statale nel senso dell’affiancamento allo Stato, quale esclusivo garante dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, di strumenti di garanzia sovra o internazionali rinviene nella regione europea un fecondo spazio di osmosi tra sistema giuridico internazionale e sistemi giuridici nazionali. Tale spazio costituisce anche il “laboratorio” privilegiato di un dialogo talora “intermittente” tra ordinamenti nazionali, sistema CEDU e ordinamento giuridico dell’Unione europea laddove la certezza del diritto non può non riposare nella collaborazione tra giudici (nazionali, sovra e inter-nazionali) e nella mutua “alimentazione” tra una pluralità di fonti normative riconducibili a cataloghi di diritti diversificati. Ne risulta una dinamica integrazione del dato normativo con quello giurisprudenziale suscettibile di dischiudere nuovi orizzonti ermeneutici anche rispetto alla compiuta definizione dei contenuti di diritti per così dire “classici”. Lo testimonia, in maniera emblematica, il diritto all’equo processo che, cristallizzato nell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), costituisce uno degli articoli più invocati dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo laddove i suoi contenuti normativi, così come “vivificati” nella giurisprudenza della stessa Corte (e di cui infra), hanno costituito la principale fonte di riferimento per la redazione del testo dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. (segue)
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