
La regola della prevalenza del cognome maschile nella famiglia ha da tempo subito un forte ridimensionamento per effetto di una prassi amministrativa e giurisprudenziale che ha ampliato la casistica delle ipotesi in cui è possibile aggiungere il cognome materno o, addirittura, sostituire il cognome del padre con quello della madre. Nella perdurante inerzia del legislatore, più volte sollecitato ad intervenire dalla Corte costituzionale e dal Giudice Edu, la disciplina del cognome resta infatti ancorata a regole che sembrano inadeguate rispetto a nuove e crescenti richieste di tutela. La prevalenza del cognome del marito nella famiglia e del padre, in relazione alla filiazione, appartiene ad una tradizione culturale fondata su una concezione patriarcale che, dal diritto romano, è confluita nel Code Napoleon per rimanere sostanzialmente inalterata nella concezione gerarchica della famiglia del codice del 1942. La codificazione ha risentito particolarmente dell’ideologia fascista contribuendo ad enfatizzare l’elemento autoritario nella famiglia al cui “capo” è posto il marito. In tale quadro la concezione costituzionale di famiglia fondata sulla parità tra i coniugi e sull’unità familiare è dirompente e segna una cesura netta rispetto alla concezione civilistica. I costituenti non ebbero coscienza piena della rilevanza dell’affermazione della parità morale e giuridica dei coniugi che, in quel momento, è sembrata una enunciazione non solo programmatica, ma irrimediabilmente “vaga” ed “equivoca”, destinata ad essere svuotata in ragione dell’unità familiare, fondata sull’autorità maritale...(segue)
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