
La Corte ritiene che la direttiva 2013/32 non è incompatibile con una normativa nazionale che consente al giudice nazionale, investito di un ricorso contro una decisione di rigetto del riconoscimento della protezione internazionale, di respingere tale ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze del caso non lascino alcun dubbio sulla infondatezza della richiesta. Infatti, la direttiva su richiamata non impone un obbligo agli Stati membri di prevedere l’audizione del richiedente in tutti i gradi di giudizio. Tuttavia, perché tale facoltà del giudice sia compatibile, oltre che con la direttiva, anche con il diritto ad un equo processo sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE è necessario che: in occasione della procedura di primo grado il richiedente sia stato sentito in relazione alla sua domanda di protezione internazionale; il verbale o la trascrizione del colloquio sia stato reso disponibile al giudice che si è occupato del ricorso; il giudice adito deve avere la facoltà di sentire il richiedente asilo qualora lo ritenga necessario (cioè, la normativa nazionale non deve escludere tale facoltà altrimenti risulterebbe incompatibile con la direttiva su richiamata e con l’art. 47 della Carta).
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