
La Corte dichiara che, in base all’art. 5 dell’accordo quadro sul congedo parentale allegato alla direttiva 2010/18/UE, deve essere dichiarata inammissibile una normativa nazionale che, a seguito di una selezione, subordini la promozione definitiva ad un posto di direzione nell’ambito di un rapporto di pubblico impiego ad un periodo di prova di due anni e che tale periodo di prova non possa essere prorogato qualora il candidato sia stato in congedo parentale nel suddetto periodo. Ciò appare incompatibile con l’obbligo degli Stati di riconoscere ai cittadini che usufruiscono del congedo parentale il diritto di tornare allo stesso posto di lavoro (o a un lavoro analogo o equivalente) e di fruire degli stessi diritti acquisiti o in via di acquisizione prima del congedo stesso. Né una tale normativa può essere giustificata dall’obiettivo perseguito dal periodo di prova poco sopra richiamato, ossia accertare l’idoneità del candidato a ricoprire il posto di direzione. Spetta, infine, al giudice nazionale stabilire se vi sia l’oggettiva impossibilità per l’autorità pubblica di consentire alla ricorrente di tornare al posto a cui era stata assegnata prima del congedo e, quindi, di garantire che alla stessa sia attribuito un posto di lavoro analogo o equivalente.
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