
Il decreto-legge n. 21 del 2012 ha stravolto l’impianto normativo della c.d. golden share, ridisegnando ex novo i poteri speciali che lo Stato può esercitare per condizionare, rallentare e, in ultima istanza, impedire acquisizioni di partecipazioni societarie, da parte di soggetti esteri, nel capitale di imprese strategicamente rilevanti e operanti in settori “sensibili”, segnatamente la difesa e la sicurezza nazionale nonché l’energia, i trasporti e le comunicazioni.
L’obiettivo del legislatore della riforma è stato quello di apprestare una intelaiatura legislativo-regolamentare che, se per un verso non comprimesse eccessivamente la libertà di azione dello Stato nel salvaguardare gli asset più strategicamente rilevanti per il Paese (indipendentemente dalla natura, pubblica o privata, di tali asset), per altro verso risultasse rispettosa dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea e, in particolare, di alcuni suoi principi cardine, quali il diritto di stabilimento, la libera prestazione di servizi e la libera circolazione dei capitali (secondo l’interpretazione fornitane nel corso degli ultimi anni da parte della Corte di giustizia dell’UE): non è certo un mistero, difatti, che il succitato decreto-legge sia nato a seguito del deferimento dell’Italia alla Corte di giustizia da parte della Commissione europea nell’ambito di una procedura di infrazione avviata da quest’ultima (peraltro appena otto mesi dopo che il nostro Paese era stato condannato dai giudici di Lussemburgo proprio a causa dell’impianto normativo e regolamentare allora vigente nel nostro paese in materia di golden share).
Il d.l. 21/2012 segna, sostanzialmente, un radicale mutamento di approccio da parte del legislatore, che rinuncia a utilizzare strumenti tipici del diritto societario (come, ad esempio, la previsione di clausole attributive di poteri speciali da inserirsi all’interno degli statuti delle singole società “bersaglio”) per porsi, al contrario, alla stregua di un regolatore che interviene ab externo in presenza di fenomeni di interesse e rilevanza generale. Ecco dunque che l’intervento statale (peraltro modulato differentemente a seconda dei singoli settori di volta in volta considerati) si sposta da quello che era un piano squisitamente soggettivo (interventi esercitabili solo nei confronti di determinate e specifiche società, prevalentemente quelle oggetto di privatizzazione) a un piano che, ora, è chiaramente oggettivo (poteri speciali azionabili indifferentemente verso qualsiasi società che svolga una determinata attività considerata particolarmente meritevole di “protezione”).
L’obiettivo del presente contributo è quello di analizzare, mettendone in luce le principali caratteristiche e criticità, l’intelaiatura normativa scaturita dal d.l. 21/2012 e dai numerosi decreti e regolamenti successivamente adottati da parte dell’Esecutivo, nonché operare una pur breve panoramica dei primi casi in cui la nuova disciplina ha trovato concreta applicazione, con particolare riferimento alle recenti vicende che hanno visto protagoniste TIM e Vivendi.
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