
Non occorre spendere parole per soffermarsi sulla nozione di democrazia nel suo significato di fondo di governo del popolo, giusta l’origine etimologica del termine (dal greco antico: démos kratía). E’ d’uopo piuttosto richiamare, seppure in via preliminare e per sommi capi, come il concetto stesso di democrazia abbia subito nel tempo processi anche significativi di trasformazione e si caratterizzi tuttora per diverse varianti tipologiche. Si procede così, in un’ottica storica, dalla democrazia circoscritta ai (non numerosi) cittadini di pieno diritto riuniti in assemblea nella pólis dell’antica Grecia, soprattutto in Atene, o alle risalenti ad epoca medioevale Landsgemeinden svizzere, che vedevano in alcuni Cantoni i cittadini riuniti in assemblea prendere in modo immediato le proprie deliberazioni, ai ben più recenti modelli classici di democrazia. Modelli che vanno dalle democrazie (seppure soprattutto inizialmente a suffragio censitario, dato il loro carattere borghese) dello Stato liberale nei prototipi rispettivamente affermatisi (sia pure in contesti politici diversi e con caratteri propri) in Inghilterra a seguito della rivoluzione del XVII secolo (la c.d. “gloriosa rivoluzione”), nel Nord-America con la rivoluzione di fine Settecento che si caratterizzò peraltro come una guerra per l’indipendenza nazionale, in Francia con la radicale rivoluzione del 1789 che più marcatamente ancora si caratterizzò come rivoluzione della classe borghese contro le classi privilegiate della nobiltà e del clero, determinando di conseguenza la rottura di tutti i preesistenti assetti sociali. Per arrivare alle nuove forme di Stato democratico affermatesi nel corso del XX secolo. Forme di Stato, queste ultime, definite, anzitutto, di “democrazia pluralista”, in quanto caratterizzate, a differenza dello Stato liberale ottocentesco improntato al principio della “individualizzazione del potere”, da una forte affermazione di gruppi e comunità intermedie tra il cittadino e lo Stato in contesti di pluralismo politico, territoriale, di formazioni sociali di vario tipo. E, contestualmente, forme di Stato spesso anche contraddistinte da concezioni sociali della democrazia con politiche interventistiche dei pubblici poteri nel campo dell’economia nell’ottica della realizzazione del c.d. Welfare State e della eliminazione di sperequazioni sociali e squilibri territoriali. Pur non mancando, da questo punto di vista, l’emergere a volte di forme di neoliberismo in campo economico-sociale, anche se tali da non comportare ritorni a schemi ormai irripetibili di liberismo e neoliberismo di stampo ottocentesco, oltre a più generalizzati segnali di crisi almeno di certi aspetti dello stesso Stato sociale. Del tutto diversa la concezione c.d. “sostanziale” della democrazia, affermatasi nel XX secolo negli Stati del “socialismo reale”, di cui oggi resta peraltro un limitato numero di esempi... (segue)
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