Non più tardi di nove mesi fa, in un articolo dedicato al medesimo tema oggetto di questo contributo, avevamo ricostruito il percorso che, nel volgere di pochi mesi, aveva portato nel dibattito pubblico gli operatori umanitari che praticano attività di soccorso in mare dall’essere considerati eroi che salvano vite, al venire additati alla stregua di trafficanti e fiancheggiatori delle organizzazioni criminali operanti in Libia. Ora, nel febbraio 2019, l’ascesa al governo del Paese della nuova maggioranza ha impresso un’ulteriore accelerazione a tale processo di progressiva criminalizzazione delle ONG operanti in mare. In estrema sintesi, l’Italia nell’ottobre 2014 aveva interrotto l’operazione Mare Nostrum, iniziata un anno prima a seguito della tragedia del 3 ottobre 2013, quando più di 350 persone erano morte a poche centinaia di metri dalle spiagge di Lampedusa. La gestione dei soccorsi nel Mediterraneo centrale era allora stata assunta dall’Unione europea con l’operazione Triton, che tuttavia aveva un mandato ben diverso da Mare Nostrum (fine precipuo della missione europea non era, come per quella italiana, il soccorso dei migranti in situazioni di pericolo, bensì il controllo delle frontiere esterne dell’Unione), e disponeva di mezzi assai limitati, che in molte occasioni non consentivano di predisporre un intervento efficace. Con il passaggio da Mare Nostrum a Triton, i naufragi aumentano in modo drammatico. Tra gli episodi più terribili, basti qui ricordare la tragedia del 18 aprile 2015, con l’annegamento nel Canale di Sicilia di un numero di persone stimato tra le 800 e le 900; ed il naufragio che, a macabra celebrazione dell’anniversario, il 18 aprile 2016, vede la morte di oltre 400 persone nel medesimo tratto di mare interessato dalla tragedia dell’anno precedente. È in questa fase che assumono un ruolo attivo sullo scenario dei soccorsi in mare le imbarcazioni delle ONG. Di fronte all’orrore del ripetersi ormai quasi routinario di tragedie di dimensioni immani, e di fronte alla chiara volontà degli Stati costieri e dell’Unione europea di non predisporre un sistema di soccorsi in grado di evitarli, la società civile europea si mobilita (soprattutto nei Paesi nordeuropei) per provare almeno a ridurre i numeri della strage. Il plauso all’iniziativa è generale, anche da parte della nostra opinione pubblica, e le navi delle ONG vengono stabilmente inserite nel sistema complessivo di gestione dei soccorsi in mare gestito dalle nostre autorità navali (civili e militari), al punto che nella seconda metà del 2016 quasi il 40% delle operazioni di soccorso viene condotto dalle ONG stesse, sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana. Nei primi mesi del 2017, il clima nei confronti dei soccorritori comincia rapidamente a cambiare. Il numero degli stranieri che giungono via mare sulle nostre coste è sempre più elevato, e le reazioni dell’opinione pubblica iniziano a diventare ostili, accentuate dalla difficile congiuntura economica e dalla pervicace creazione di un sentimento di timore nei confronti dei migranti ad opera di molti media e partiti politici… (segue)
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